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“UOMINI CHE UCCIDONO LE DONNE” di Giulio Cesare Giacobbe

“UOMINI CHE UCCIDONO LE DONNE” di Giulio Cesare Giacobbe

I femminicidi che imperversano in Italia sono stati spiegati in diversi modi. Tutti riconducibili alle distorsioni culturali di quest’Italia post industriale. Si è fatto ricorso al maschilismo tradizionale italiano. Il maschio tradito o rifiutato uccide per onore. Ma questo non spiega perché poi si uccida a sua volta. Non si è mai visto, un maschio italiano che uccide per onore e poi si spara. Perché dovrebbe farlo, dal momento che il suo onore è salvo? Che è stato lavato col sangue? Si è fatto ricorso alla crisi della famiglia tradizionale. Vessata da debiti e problemi nazionali che le arrivano addosso e che questa piccola compagine sociale non sa affrontare, la famiglia italiana si sfascia. Ma questo non spiega perché le famiglie italiane si debbano autodistruggere. Come lemmings che, impazziti, si gettano in massa dentro a un burrone. Si è fatto ricorso all’odio maschile per le donne che hanno più successo a scuola, nei concorsi, nel lavoro, nella vita. Perché, partendo da condizioni svantaggiate, si impegnano di più. Forse perché sono più intelligenti. In un’Italia di disoccupati, di indebitati, di falliti. Le donne riescono a sopravvivere. A restare a galla. E allora uccidiamole! Ma perché uccidere anche i propri figli? E poi uccidere se stessi? Una tale visione catastrofica è degna soltanto di un esistenzialismo nichilista che ormai è passato di moda. Tutte spiegazioni culturali. Nessuna spiegazione psicologica. Soprattutto nessuna spiegazione psicologica scientifica e seria. Perché un uomo, lasciato dalla moglie che si porta via con sé i suoi figli dovrebbe ucciderla, uccidere i propri figli e infine uccidere anche se stesso? Perché non è un uomo.
Perché è un bambino. Un bambino di venti, trenta, quarant’anni è convinto di non poter sopravvivere da solo. Ha bisogno di una mamma. Una mamma che lo allatti.
Ma se la mamma lo rifiuta perché è insopportabile. Se la mamma lo abbandona. Allora è destinato a morire. E chi è la causa della sua inevitabile morte? La mamma che lo ha abbandonato. La mamma che si rifiuta di allattarlo. La mamma che ha preferito allattare i suoi fratellini e non lui. E che è fuggita con loro. Perché i suoi figli non sono suoi figli. Sono figli della sua mamma.
Sono fratellini rivali. Che la mamma ha preferito a lui. Condannandolo a morte. E allora se deve morire, deve morire con lui anche la mamma snaturata che non lo vuole più allattare. E devono morire con lui anche i fratellini a cui la mamma continua a dare il suo latte. Il latte che ha rifiutato a lui. Non c’è morto più felice del bambino di venti, trenta, quarant’anni che si vendica dell’abbandono della mamma e dell’insopportabile maggior fortuna degli indegni fratellini che continuano a prendere il suo latte. Se poi i fratellini non ci sono. Ed è soltanto la mamma, la coprotagonista involontaria ma spesso bambina anche lei di questa tragedia della nevrosi. Ma c’è sempre comunque il rifiuto, l’abbandono. Il rifiuto di un bambino egoista, possessivo, dispotico, prepotente e violento. Il rifiuto di un bambino che ha bisogno del suo latte e lo vuole a tutti i costi. Anche se lei non ce l’ha. Allora è solo la mamma, o la presunta mamma, a farne le spese. Raptus o no, la mamma che lo ha rifiutato deve morire. Moglie, fidanzata, amante che sia, deve morire. Certo, il bambino poi si costituisce. Poi facilmente confessa. Ma finalmente si è vendicato. Ha eliminato la mamma che gli ha rifiutato il suo latte. Doveva farlo. La sua nevrosi lo ha costretto a farlo. Un bambino che ha continuato ad essere allattato fino a venti, trenta, quarant’anni, non può rimanere di colpo senza latte. Se no uccide. Lo si doveva svezzare a sedici, diciotto anni. Avviandolo al lavoro e all’indipendenza come tutti gli adolescenti d’Europa. Specialmente quella povera. Certo che ci facciamo una bella figura, in Europa. Non soltanto abbiamo il primato della peggiore scuola, della peggiore sanità e del peggiore debito pubblico. Adesso abbiamo anche il primato dei bambini di venti, trenta, quarant’anni che uccidono le donne.

di Giulio Cesare Giacobbe