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“SCIAMANESIMO IL CAMMINO VERSO LA SPIRITUALITA’ “di Stefano Fusi

“SCIAMANESIMO IL CAMMINO VERSO LA SPIRITUALITA’ “di Stefano Fusi

L’arte cerimoniale dei popoli di cultura sciamanica è un mezzo per specchiarsi nella realtà divina. Le immagini sacre realizzate per i rituali trasportano nella vita quotidiana le visioni e ne trasmettono l’energia di guarigione.
Sono portali attraverso cui è possibile accedere al mondo spirituale e celebrare le potenze immateriali che guidano il cammino terreno.

Tutta l’arte è sacra perché fa parte della vita, altrettanto sacra. Allo stesso modo, la natura è sacra, il corpo è sacro, la Terra e il Cielo sono sacri, l’amore è sacro, gli esseri umani e gli animali, le piante e gli elementi sono sacri. Sacro è ciò che vive nel Tutto, e ogni cosa fa parte del Tutto. In questo mondo limitato, nel quale il Gioco cosmico divino ci illude di essere separati gli uni dagli altri e da tutto ciò che ci circonda, la cerimonia sacra rappresenta il momento in cui gli esseri umani interrompono questa illusione, che a forza di ripetersi diviene reale. Nella cerimonia sciamanica i partecipanti sentono e vivono le loro reali connessioni, percepiscono e celebrano la vera essenza della vita. Che è scambio, interrelazione, circolazione, armonia al di là delle apparenti limitazioni.

Il collegamento con il divino
La cerimonia è l’apertura di un canale collettivo con il divino per leggerne i messaggi, onorare l’intera esistenza, riconoscere la propria appartenenza a un cerchio universale. Si esegue non tanto per ottenere qualcosa di specifico – potere, guarigione, benessere – quanto per ripristinare, periodicamente, il senso della propria identità di gruppo e personale. Questa è la vera guarigione: una pulizia globale, un tagliando spirituale che si ripete nel tempo, una manutenzione psicoenergetica della propria persona e del gruppo con cui si vive.

Il filtro della mente
La nostra mente individuale fa da filtro, consentendoci di ricevere solo una piccola parte dell’Infinito e di mantenerci collegati con una sola dimensione: quella fisica individuale, fino a farci credere di essere “degli IO incapsulati nella nostra pelle”. Ma la realtà è più ampia e ogni attimo di consapevolezza che blocchiamo con il nostro filtro resta come residuo che si accumula disturbando le nostre percezioni della realtà. È proprio tale filtro ad aver bisogno, periodicamente, di essere ripulito dalle incrostazioni (i rifiuti di ciò cui non permettiamo di entrare). A questo servono le cerimonie: eliminiamo il filtro, entriamo in contatto con la vasta realtà spirituale, eliminiamo le scorie delle negazioni necessarie a sostenere la nostra vita corporea limitata, rimettendo poi il filtro al suo posto ripulito e sgombro per proseguire la nostra vita comune con una nuova consapevolezza.

I Nativi americani sostengono che ciò che conta è “stare con quello che c’è” e vivono contemporaneamente sia nel mondo fisico che in quello spirituale, entrambi reali. Nella consapevolezza che l’uno è l’altro in forme diverse e che possiamo conservare la coscienza espansa anche nella materia.

La cerimonia cambia, si trasforma nel tempo ma mantiene intatte le strutture di base: definizione di uno spazio e di un tempo sacri e uscita dalla quotidianità, viaggio nell’ultrasensibile, immersione nel flusso vitale, accantonamento dell’ego, perdita temporanea dei confini fra sé, gli altri e il mondo, riconnessione nel momento presente, condivisione con gli altri membri del gruppo. In una parola: sia apre un “campo” d’esperienza. Campo nel senso che oggi la fisica dà a questa parola: l’insieme energetico che allo stesso tempo scaturisce dai singoli fenomeni e ne è lo stampo e il contenitore.

L’arte come canale di connessione
Uno dei mezzi per entrare in connessione con il divino è quella che chiamiamo arte, ovvero l’espressione in forme sensibili di contenuti spirituali: la danza, il suono e la musica, il movimento del corpo, la narrazione. E naturalmente le immagini: nelle cerimonie sacre le raffigurazioni simboliche giocano un ruolo importante. In un certo senso tutta l’arte figurativa è stata – ed è ancora oggi –  sacra. Ma l’arte moderna e contemporanea occidentale ha abbandonato l’aura sacra che ha avvolto l’espressione artistica antica, quella tradizionale e propria dei popoli di natura. L’arte attuale è un tassello della mentalità contemporanea: rispecchia una visione culturale materialista, scientista, pragmatica e basata sul conformismo e sull’adeguamento al potere economico-sociale-politico-religioso-tecnologico. La sfera del sacro viene lasciata in gestione alla religione organizzata e riservata a specifici momenti codificati, gestiti da specialisti autorizzati; la scienza parla un altro linguaggio ancora, “oggettivo” e anch’esso istituzionalizzato; l’arte, infine, è divertissement intellettuale commercializzato e non ha finalità spirituali bensì “comunicative” e di status sociale. Certo, esistono eccezioni: l’artista è sempre un po’ sciamano; nel campo delle arti visive, soprattutto l’arte concettuale ha in parte fatto rivivere la dimensione catartica, transpersonale e sacra dell’espressione artistica – un esempio per tutti, l’artista-ecologista-sciamano tedesco Joseph Beuys; ma anche il surrealismo prima, l’astrattismo dell’action painting di Jackson Pollock poi e le performance odierne hanno riportato l’accento più sul gesto ispirato e sull’affidarsi all’inconscio, che sull’oggetto artistico prodotto. Nella musica, i concerti – da Bob Marley ai Doors ai Pink Floyd, fino ai rave attuali – oggi rispondono in parte e in modo più o meno conscio, alla ricerca di momenti nei quali andare oltre il velo di Maya e percepire qualcosa di più ampio. Anche varie correnti del teatro contemporaneo, dal Living Theatre in poi, hanno riportato in vita la dimensione corale e comunitaria, quasi cerimoniale e tribale ma comunque catartica, che è all’origine delle rappresentazioni teatrali; le quali affondano le loro radici nelle rappresentazioni mitologiche, danzate, cantate e recitate, delle gesta e delle influenze sull’umano delle forze spirituali e naturali.

Per i popoli di natura e per le culture sciamaniche pervenute fino al nostro tempo, invece, non esiste neppure una cosa definita “arte” in sé, concepita come separata dall’esperienza spirituale. Oggi le necessità economiche e culturali hanno spinto anche gli artisti nativi a vendere le loro opere, mentre un tempo le distruggevano alla fine del rituale, come i mandala orientali o le mettevano semplicemente a disposizione della comunità. Dunque, quelle che in questo articolo chiamiamo espressioni artistiche delle cerimonie delle culture sciamaniche sono definite tali solo per intenderci.

Le mappe del cosmo
Nella cerimonia indigena, come avviene del resto nei Mandala orientali realizzati in meditazione, o come avveniva un tempo nella pittura sacra occidentale, si utilizzano anche immagini simboliche per attivare e rinforzare la nostra connessione con la dimensione spirituale. È un modo per manifestare sul piano esteriore ciò che altrimenti andrebbe perso nel brusio della mente operativa. Mente che di necessità ci stacca dalla nostra sfera interiore per concentrarsi sulla superficie delle cose e traghettarci attraverso il mondo materiale.

Come il suono e il movimento del corpo, come il contatto fisico, come l’utilizzo della saggezza vegetale con sostanze che risvegliano l’olfatto e con le piante-maestro psicotrope, capaci di aprire canali cosmici direttamente nei recessi più intimi delle sinapsi, così le immagini diventano uno dei canali attraverso i quali la mente e l’anima delle persone coinvolte nella cerimonia si collegano con i contenuti universali dell’esperienza sovrannaturale. In questo modo lo sciamano che conduce la cerimonia mette in scena le proprie visioni e ripristina il “disegno” armonico che sta sotto e oltre la vita quotidiana. Traccia una mappa visiva delle nostre connessioni vitali con l’intero universo. Le immagini diventano psicocosmogrammi che hanno la funzione di riportarci in connessione e in equilibrio con le forze spirituali che governano la nostra vita. Forze rappresentate sotto forma di spiriti e antenati, venti o direzioni, terra e cielo, piante e animali.

Tutte le vie di ricerca e di guarigione sgorgano dal sistema di conoscenza e guarigione che definiamo sciamanesimo. Antica di almeno 40.000 anni, la via sciamanica è quella dell’esperienza diretta delle dimensioni ultrasensibili e della sua integrazione nella vita quotidiana. Lo sciamano è “il tecnico del sacro” che accede ai mondi ultrasensibili e ne riporta i simboli e i messaggi degli spiriti nella realtà ordinaria. Le visioni ricevute diventano strumenti di guarigione e di consapevolezza, condivisi nella comunità per progredire e vivere meglio insieme nell’equilibrio, nella gioia e nella pace. Al ritorno dal viaggio, lo sciamano “mette in atto” le sue visioni nelle cerimonie. La celebrazione stabilisce e rinsalda l’unione del gruppo attorno ai fondamenti originari della vita onorando le relazioni che abbiamo con tutto il mondo esistente, con le persone presenti e quelle che non sono più o non sono ancora presenti, con le forze naturali e con le entità di tutti i mondi.

Oggi grazie alla scienza olistica sappiamo che i popoli nativi, ben lungi da essere “primitivi”,  sono i popoli più moderni al mondo. Quelli che chiamiamo popoli “sciamanici” sanno, ancora oggi, ciò che noi stiamo riscoprendo solo adesso: tutto è collegato in reti interconnesse di materia-energia-luce. Sanno da sempre che ogni cosa è medicina, nel senso di “potere curativo”. Sanno da sempre che tutto ciò di cui abbiamo bisogno è dentro di noi, nel nostro respiro, nel nostro corpo, nel battito del cuore, in ogni filo d’erba e in ogni alito di vento e in ogni atto con cui entriamo in comunicazione con l’esterno.

Ora lo stiamo riscoprendo: ma per noi occidentali è necessario, proprio come avvenne a Castaneda, uscire dagli schemi per rientrare nella realtà che chiamiamo “non ordinaria”, ma che è più vasta e più vera di ciò che consideriamo comunemente reale. È un’ecologia profonda, fisica, mentale e spirituale al contempo. Un’ecologia totale che ci fa vedere i veri legami fra le cose, la circolazione e le interconnessioni al di là delle dighe dei nostri pensieri. E la via maestra per questa apertura spirituale, la celebrazione rituale che unisce i fili delle nostre vite in cerchio e li esprime con la danza, la musica, le immagini, i gesti.

di Stefano Fusi