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“RAIMON PANIKKAR: L’UOMO CHE GUIDO’ IL MONDO” di Maciej Bielawski

“RAIMON PANIKKAR: L’UOMO CHE GUIDO’ IL MONDO” di Maciej Bielawski

Filosofo, teologo, fisico. Panikkar trovò dentro sé e intorno a lui l’essenza della vita; l’equilibrio dettato dalla saggezza dell’intero Universo. Saggezza che l’essere umano ha avuto la possibilità di ascoltare dal cuore e dalla bocca di Panikkar, quando non era in grado di coglierlo altrove. Il suo appello di amore è oggi, per tutti noi, un messaggio intramontabile che non aspetta altro che essere accolto e messo in pratica.

La prima cosa che ci colpisce e ci dà modo di parlare di Raimon Panikkar (1918-2010), è la sua opera. La considero uno dei più significativi monumenti dello spirito umano di tutti i tempi. Pensate alla poeticità metafisica di Eraclito mescolata con la perspicacia speculativa di Immanuel Kant, unite la paradossalità vertiginosa di Nāgārjuna e la radicalità del pensiero di Friedrich Nietzsche. Immaginate che da qualche parte si intreccino la gentilezza di Lao Tsu e la precisione di Aristotele; sognate l’incontro tra le frasi mistiche di Meister Eckhart e i ragionamenti di Shankara e in qualche modo potrete presentire la grandezza, l’estensione e la profondità dell’opera di Panikkar. Purtroppo senza venirne a capo. Del resto gli autori appena riportati erano ben noti a questo erudita e lui, in qualche modo, dialoga con loro nelle pagine dei suoi scritti.

Un appello che non tramonterà mai
Di solito il nome di Panikkar appare quando si parla del dialogo tra le religioni, ed è giusto perché questo tema l’ha occupato personalmente per decenni, sostenendo di essere cristiano, indù, buddhista. Il suo appello, affinché le religioni del mondo si convertano radicalmente e si fecondino reciprocamente per il bene dell’umanità e la giustizia nel mondo, rimane valido. Ma in Panikkar c’è molto di più. Come chimico e teologo cercava di armonizzare la scienza moderna e la tradizione umanistica e parlava di teofisica. Come filosofo, dialogando con quanti si occupavano di ecologia,  postulava l’ecosofia, ossia l’ascolto della saggezza che giace iscritta dentro la terra e solo aspetta di essere accolta dagli uomini. Affrontando la questione della pace, desiderava cogliere il problema della violenza alla sua radice e parlava del disarmo della ragione (perché principalmente è la nostra mente che è violenta) e del disarmo culturale (perché la violenza naviga all’interno delle strutture delle nostre culture). Conoscendo e abbracciando dentro di sé molte culture e religioni, Panikkar ne apprezzava le ricchezze, ma non ignorava il loro bagaglio obsoleto di stupidità e d’inerzia che soffocano la vita. Ne sognava una vera trasformazione  sulla base di un soffio mistico. Era convinto che l’umanità fosse arrivata a un punto in cui avrebbe dovuto ridefinire la sua visione del cosmo, il suo modo di comprendere l’uomo e persino il suo concetto di Dio. In funzione di questa opera aveva creato una nuova parola, cosmoteandrismo, che proponeva un nuovo disegno – paradigma o mito – in cui avrebbe dovuto trasformarsi la mentalità comune, grazie allo svuotamento interiore. Una nuova innocenza, quindi, che permettesse a tutti di seguire il ritmo dell’essere,  unico che garantisce la pienezza della vita che ci è stata affidata.

L’opera omnia, un profondo lago
Oggi abbiamo appena incominciato a renderci conto dell’ampiezza e della profondità dell’opera di Panikkar, compiuta nell’arco di circa settant’anni e realizzata in almeno sette lingue (latino, spagnolo, catalano, inglese, tedesco, francese, italiano) in cui parlava e scriveva questo studioso. Non da ultimo vorrei segnalare che l’Italia è il Paese in cui gli scritti di Panikkar sono più diffusi e conosciuti in assoluto e che la sua Opera omnia, l’iniziativa che raccoglie i suoi maggiori scritti, esce presso la casa editrice Jaca Book. Finora sono già stati pubblicati otto volumi.
L’opera di Panikkar è come un lago grande e profondo su cui vale la pena di navigare in tutte le direzioni. Ma sopra questo lago si erge una maestosa montagna, che è la vita di questo uomo. Una vita lunga, movimentata e drammatica. Panikkar non aveva solo una bibliografia stupenda, ma anche una vita veramente insolita. Bisogna scalare questa montagna per poter contemplare dalle sue altitudini le acque del lago, cioè bisogna conoscere la vita di questo pensatore per comprendere la sua visione intellettuale.

Una vita di fughe e trasformazioni
Panikkar nacque e crebbe a Barcellona. Da qui fu costretto a fuggire durante la Guerra Civile in Spagna. A ventun anni divenne membro dell’appena nascente Opus Dei e poi uno dei primi sacerdoti di questo movimento da cui assorbì il radicalismo cristiano e lo spirito della scolastica cattolica. Con il tempo, però, si era creato un conflitto e Panikkar venne espulso dall’Opus Dei, stabilendosi in India, nella santa città di Varanasi. Qui, con ardore, si era dedicato allo studio del pensiero Vedico approfondendo anche il buddhismo. Simultaneamente aveva allacciato contatti con le università degli Stati Uniti, prima Harvard e dopo Santa Barbara, dove fu professore. Per anni viveva spostandosi continuamente tra la sua casetta con la terrazza sul Gange a Varanasi e la bella casa sulla costa californiana, soffermandosi regolarmente in Europa; prima di tutto in Italia dove aveva alcuni amici molto fedeli.
Sembrava che tutto questo continuo spostarsi rafforzasse l’effervescenza del suo pensiero, perché senza sosta scriveva, studiava, predicava e insegnava. Diventò uno degli uomini più colti e profondi dell’epoca, amico dei grandi del suo tempo, da Martin Heidegger al Dalai Lama, da Paolo VI a Mircea Eliade, da Henri Le Saux (Abhishiktananda) a Enrico Castelli, con cui dialogava pur conservando la sua originalità. Panikkar non era discepolo di nessuno.

L’inizio della stabilità
Quando arrivò il momento di ritirarsi dall’attività professionale, Panikkar smise di vagabondare tra i continenti e formò una famiglia, stabilendosi in un piccolo paese di montagna, in Catalogna, chiamato Tavertet. Molto presto questo posto diventò un centro di ricerca culturale, incontri spirituali e dialogo interreligioso, a cui pellegrinava la gente di molti Paesi e nazioni. Contemporaneamente, il nome di Panikkar diventò sempre più conosciuto – e riconosciuto – da diverse autorità ed enti culturali, religiosi e politici. Nonostante ciò, lui era riuscito a mantenersi ai margini per poter meglio cogliere la profondità dei problemi centrali del nostro tempo.
Lucido quasi fino alla fine dei suoi giorni, Raimon Panikkar si spense a Tavertet, il 28 agosto 2010. Una parte delle sue ceneri è stata depositata in Catalogna, terra di sua madre, e l’altra sparsa nelle acque del Gange che scorre nel paese da cui proveniva suo padre.

I pensieri guidati dallo Spirito
Come la montagna si riflette nelle acque profonde del lago, che a sua volta annaffiano la flora delle rocce montagnose, così anche l’opera e la vita di Panikkar appartengono l’una all’altra, come lui stesso ha affermato: «Non ho vissuto per scrivere, ma ho scritto per vivere in un modo più cosciente, per aiutare i miei fratelli con pensieri che non sorgono soltanto dalla mia mente, ma scaturiscono da una Fonte superiore che si può forse chiamare Spirito – anche se non pretendo che i miei scritti siano “ispirati”». I suoi scritti possono veramente ispirare a una esistenza profonda e piena, ma non di meno la conoscenza della sua vita può affascinare con la sua ricchezza e autenticità, non priva di ombre, ma grazie anche a queste vera e reale. Ambedue, la vita e l’opera di Raimon Panikkar, sono molto originali, sfidano gli schemi a cui siamo abituati e invitano chi le conosce a vivere con la stessa intensità e libertà.

All’immagine del lago in cui si riflette la montagna aggiungo ancora un aspetto: la vetta di questo monte è avvolta in una nube ben densa che riflessa nel lago si fonde con la profondità delle sue acque. Con questo particolare, desidero indicare la dimensione mistica dell’opera di questo uomo e l’enigma impenetrabile della sua vita. Ma sono proprio questi aspetti che le fanno vive e ispiratrici. Panikkar, parafrasando Nietzsche, ha detto: «Chi vuole essere un fulmine, deve saper a lungo rimanere una nuvola». Il paesaggio con lago, montagna e nube, ogni tanto è scosso da un lampo attraendo lo sguardo degli aspiranti alla vita autentica. L’opera di Raimon Panikkar può indicare la strada, e la sua vita può ispirare i ricercatori dell’Arte di essere.

di Maciej Bielawski