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“NINJA E SAMURAI, LA LOTTA ETERNA TRA YIN E YANG” di Leonardo Vittorio Arena

“NINJA E SAMURAI, LA LOTTA ETERNA TRA YIN E YANG” di Leonardo Vittorio Arena

a cura della redazione

Chi sono i guerrieri dello spirito?
Sono quelli che lottano per un ideale, e la mano che impugna l’arma – sia la spada o una mitragliatrice – in tutte le culture è sorretta dallo spirito, o si crede tale.

In che senso lo spirito è coinvolto nell’impresa?
Talvolta basta la convinzione. O può essere un alibi di comodo. Non mi metterò a distinguere tra sinceri e guerrieri ipocriti: dovrei leggere nella loro mente! Ne considero le azioni, più che le parole, e persino il tradimento dell’ideale. Cristiani che infangano la dottrina, violando il comandamento “Non uccidere” o, come nel caso in esame, samurai che cambiano fronte nel corso di una battaglia. (espressione stupita dell’intervistatore) Sì, proprio loro: i samurai, a parole fedeli e leali servitori di un signore.

È importante ciò che si pensa, ai fini della lotta?
Chi si persuade della bontà di una causa è spesso invincibile, lo mostrano i samurai. Seguono il detto di Sunzi, lo stratega cinese: solo il guerriero che si ritiene già morto non sarà sconfitto. E, se anche lo fosse, non potrà dire di non averlo previsto o già saputo.

Come differenziare i vari gruppi, emersi nel corso della storia, se lo scopo è lo stesso?
Genericamente, lo scopo è lo stesso, ma basta l’esempio dei samurai e dei ninja, nel contesto nipponico, per avere due quadri diversi della lotta e della strategia. Dello spirito.

Mi sembra che dei primi si sappia molto, a differenza dei secondi…
Ciò non implica che si conoscano davvero i samurai; è vero che i ninja, in ossequio alla loro funzione segreta, esoterica, sono meno noti: è logico. (pausa) I samurai incorporano un elemento solare, yang in cinese, i ninja quello lunare, yin: il caldo contro il freddo, la forza fisica o l’astuzia, lo scontro aperto o l’imboscata. Quantunque i due gruppi possano scambiarsi i panni e assumere l’identità altrui.

Come lotta un samurai, e un ninja?
Parliamo di un arco di tempo piuttosto ampio, circa settecento anni, per entrambi. Nel corso del tempo i samurai hanno cambiato armi. In generale, si può dire che la spada possa rappresentarli quasi sempre. La spada è il samurai stesso, una emanazione del suo spirito. E anche della sua mente (shin, kokoro) o meglio, della sua “non mente” (mushin). Non è il samurai che si serve della spada, ma l’inverso. Per arrivare a questa intuizione delle cose occorre un severo training e l’aiuto o il consiglio di un maestro, un samurai più anziano.
Il ninja usa armi non convenzionali, come i lacci per strangolare la vittima, la falce per arrampicarsi sui muri eccetera. Non combattendo alla luce del sole, egli ricorre all’inganno. Non che il samurai sia sempre leale, ma l’inganno non è ammesso, in teoria. Il ninja invece vi fonda tutta la sua pratica. È un altro suggerimento di Sunzi nell’ Arte della guerra, che il samurai adotta all’occorrenza e il ninja vi trova la propria ragione di essere.
Si suppone che un samurai si trovi sempre davanti all’avversario, e non lo colpisca alle spalle…
La posizione è determinante: nel duello samuraico c’è uno scontro diretto. Un ninja colpisce spesso senza che la vittima ne sia consapevole. La segue da vicino, la pedina e il suo costume scuro lo mimetizza. Ancor più che della luna, il ninja è figlio del buio, della notte. Del Nulla. Yin e yang nel loro senso più ampio…

In Giappone, anche per influsso del buddhismo, il Nulla e il vuoto sono molto rilevanti, anche nella strategia.
In ogni settore o ambito della vita, in teoria e in pratica. La nostra cultura è basata fondamentalmente sull’Essere, quella orientale, specie in Giappone, sul Nulla. Il Nulla o mu non è il niente. Difficile dirlo in poche battute. Se il samurai usa la “non mente” e non si concentra sull’esito della lotta cercando il successo, aderisce al mu, che lo sappia o no. È una logica del “non fare”: l’avversario è eliminato con pochi fendenti, rapidamente; non lo abbatte il samurai, bensì il mu stesso.
Per il ninja è l’agguato che predomina, il colpo a tradimento. Ma si tratta sempre del mu: il ninja è oscuro, invisibile, inafferrabile; anche lui è un agente del vuoto: compie i suoi atti con rapidità ed economia, come se scrivesse un haiku. Un po’ come il samurai, ma sfruttando di più la componente esoterica, misterica, del mu.

È un tratto buddhista?
Appartiene allo Zen, si potrebbe dire, ma ci sono tratti Zen che fuoriescono dalla cornice buddhista per i samurai e i ninja. È la solita questione: lo Zen coinvolge qualsiasi aspetto della cultura nipponica, indipendentemente da un influsso diretto, accertabile.
Credo che la valenza del mu possa essere facilmente fraintesa, visto che in Occidente si continua dopotutto a considerarlo il Niente.

Lei traccia una distinzione tra il nulla e il niente. Non è secondaria?
Non credo. Un conto è considerare il mu come l’assenza, la privazione o la penuria, la non esistenza, insomma, e un altro imperniarvi sopra la propria visione dell’esistenza, la prassi strategica. Nel primo caso lo spirito non avrebbe dove attecchire. Nel secondo il mu diviene tutto, anche il non esistente. È ciò che Suzuki Roshi ha indicato come la mente del principiante (beginner’s mind). Alcune opere sulle arti marziali nipponiche si rivolgono a questo tipo di mente, tentando di farla sviluppare. Anche se è un modo di dire: è impossibile svilupparla forzatamente.
Lei preferisce usare il termine giapponese, piuttosto che tradurlo?
Tradurre i termini filosofici è sempre problematico, specie quando appare semplice. La cosa più semplice sarebbe rendere mu con “Nulla” o ku, altro termine molto usato, con “vuoto”, ma è fuorviante.

Perché?
Perché in Occidente questi termini acquistano altre valenze. Ku potrebbe essere il vuoto che incorpora il pieno, e che proprio per questo è vuoto. Mu è l’assenza che però ingloba la presenza, e solo per questo è presenza. Vediamo un modo più concreto di vagliare il tema. I samurai e i ninja cercano il significato della vita e lo trovano nella lotta. Solo quando entrambi i gruppi riescono a non attaccarsi allo scopo, a non lasciarsi ipnotizzare dal dualismo vittoria/sconfitta attingono un significato più ampio, che non è significato, e che io chiamo nonsense.

Ritiene determinante che il guerriero coltivi questa mentalità, ai fini di una consapevolezza personale?
Se la coltiva, potrebbe risultare invincibile, o si potrebbe dire che le sue mosse sono guidate dallo spirito. Egli potrebbe persino recuperare il “volto originario prima della nascita”, secondo l’espressione zen. Ossia uscire dai condizionamenti che gli ostacolano le mosse impedendogli di tornare nudo, puro e semplice come la trave grezza, non lavorata, dei taoisti, Zhuangzi in primis.
Ho letto il suo romanzo, “Il coraggio del samurai”, dove ho appreso con sorpresa che il guerriero dello spirito, un ninja, può essere anche femmina.
Anche tra i samurai le donne si sono spesso distinte e alcune figure storiche lo mostrano: basti pensare a Tomoe Gozen, distintasi in una famosa battaglia nel 1184. Lo indico nella mia opera I guerrieri dello spirito, che sarà ristampata l’anno prossimo. Ciò sconfessa lo stereotipo dei samurai maschilisti, che conserva però un certo valore. Ma nei samurai la donna adotta gli stilemi del maschio, armi e attitudini. Nei ninja sfrutta le sue armi seduttive, aiutata dal costume aderente, attillato e sensuale, à la Diabolik… Un ninja, meglio: una ninja, si muove con agilità, quasi danzando, imita le mosse della vittima, sovrappone la sua ombra a quella dell’avversario con una sapiente coreografia, sino a confondervisi. Non è un caso che molti ninja siano donne. Nel romanzo mi riferisco a un Ordine ninja al femminile,
dove si esibisce il sadomasochismo, nella lotta e nei rapporti interpersonali. L’esistenza delle donne ninja mette in discussione i pregiudizi maschili, l’idea di una supremazia virile tutta da vedere, da verificare. Nel romanzo Minamoto Yoshitsune (1159-1189), prototipo del samurai, e a suo modo effeminato, affronta la Padrona, capo delle ninja, la quale combatte come un uomo e gode nel soggiogarlo.

Di queste donne guerriere c’è traccia anche in Cina, penso a “La tigre e il dragone”, film che certo lei conosce…
Moltissimi spunti strategici giapponesi, e non solo strategici, hanno derivazione cinese. Così per i ninja. Si può alludere a una prospettiva alchemica, dove il maschile si sposa con il femminile, e si determina una coincidentia oppositorum perfetta, sublime. Una sorta di androginia, persino, e non solo metaforica. Yoshitsune ha un fratellastro, Yoritomo, che sarà il primo samurai davvero egemone, e che acquista un potere enorme che lo porterà a rivaleggiare con l’imperatore. Il governo samuraico, il Bakufu, inizia con lui (1192). Yoritomo è più maschio, è un calcolatore, egocentrico. Trionferà sul fratello, ma le ninja resteranno nell’ombra, sullo sfondo, per poi intervenire puntualmente contro i soprusi dei samurai. O persino a coadiuvarli nella Storia non ufficiale e non scritta del Giappone, contro chi si ribelli al Bakufu. Molte strane morti di grandi samurai possono essere attribuite ai ninja. I ninja sono generalmente mercenari, e si offrono al miglior offerente. Anche i samurai lo fanno, anche se non dovrebbero: è sempre la loro ambiguità nei confronti del potere e di ideali confuciani spesso calpestati con piacere.

Possiamo concludere con una domanda che avrebbe voluto ricevere e che non le ho posto? O una precisazione per lei doverosa?
Sia i ninja che i samurai rappresentano figure archetipiche dell’immaginario collettivo; proiettiamo su di loro i nostri desideri, ciò che vorremmo essere e non siamo, li mitizziamo e li vediamo come superuomini, o superdonne. Come sempre cerchiamo di dare un senso alla nostra esistenza, che di per sé non ne ha, e ci affidiamo a loro pensando che abbiano risolto l’eterno problema: trovare il tao, lo stile di vita migliore realizzando se stessi e creando un mondo migliore. L’illusione, come qualsiasi illusione, non è sterile, forse aiuta a vivere; ma sforziamoci di scoprirla come tale, con i suoi corollari, e le aspettative.