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“FULCANELLI – L’UOMO DELLE CATTEDRALI” di Paolo Cortesi

“FULCANELLI – L’UOMO DELLE CATTEDRALI” di Paolo Cortesi

di Paolo Cortesi

Ai primi del 1926, un uomo piccolo, gracile, manieroso e con baffi imponenti, varcò la soglia dell’ufficio dell’editore Jean Schemit, al 52 di rue Laffitte a Parigi: iniziò così uno dei grandi misteri insoluti della storia della conoscenza “eretica”.
Quell’ometto parlò all’editore di una strana lingua doppia: la chiamava lingua degli uccelli, o lingua verde, o anche art gotique, ma non nel senso di “arte gotica”, bensì di argotique, ovvero “lingua dell’argot”, lingua del gergo.
Questa sorta di codice iniziatico sarebbe stato impiegato, nel corso dei secoli, per tramandare e custodire segreti esoterici di altissimo valore.
Il misterioso personaggio (non volle, infatti, presentarsi) intrattenne per mezz’ora l’editore che fu affascinato non solo dall’aspetto di gentiluomo demodé, ma anche dall’eloquio colto e curato di cui l’omino si serviva con sciolta sicurezza: sapeva, insomma, di cosa stava parlando, anche se non era un tema facile e consueto.
Alla fine dell’incontro, lo sconosciuto domandò all’editore se gli potesse interessare un libro su quegli argomenti; Schemit rispose come tutti gli editori fanno ad una tale richiesta: “Me lo faccia vedere, sarò felice di esaminarlo senza impegno”.
Qualche settimana dopo, arrivò dall’editore un giovane, si chiamava Eugene Canseliet (1899-1982) e portava un grosso quaderno coperto da una scrittura regolare e armoniosa. Il suo titolo era “Le Mystère des Cathédrales et l’interprétation esotérique des symboles hermétiques du Grand Oeuvre” (Il mistero delle cattedrali e l’interpretazione esoterica dei simboli ermetici della Grande Opera).
Il manoscritto recava il nome dell’autore: Fulcanelli.
La tesi di fondo era affascinante: le cattedrali gotiche, così affermava, erano codici di pietra che racchiudevano i segreti dell’alchimia, in quelli che per il profano erano solo decorazioni artistiche.
Le cattedrali, dunque, erano opera di una comunità di sapienti che avevano affidato all’architettura la chiave della Grande Opera. Bassorilievi, statue, vetrate, le stesse strutture architettoniche potevano essere lette come rappresentazioni grafiche alchemiche, nelle quali ogni dettaglio comunicava una nozione a chi avesse abbastanza conoscenza da saperla decifrare.
Le cattedrali gotiche erano libri di pietra, e Fulcanelli ci dava alcuni suggerimenti per la loro lettura.
Canseliet dichiarò subito di non essere l’autore del libro, ma di averne solo scritto la prefazione. Schemit accettò di pubblicare il libro, che era corredato da trentacinque bellissimi disegni firmati dal pittore Jean Julien Champagne (1877-1932). Il 6 aprile 1926 Canseliet e Schemit firmarono il contratto di edizione per 300 copie; il 25 settembre dello stesso anno il libro era finito di stampare.
“Il mistero delle cattedrali” rivela una profonda cultura dell’arte alchemica; il suo autore, evidentemente, non si era limitato a raccogliere e ad assemblare citazioni di autori classici, ma dimostrava una conoscenza diretta, autentica dell’alchimia.
Ma chi era Fulcanelli? Questo pseudonimo (o meglio nomen mysticum) è formato dalle parole Vulcano + Elia: Vulcano evoca il fuoco della fucina cioè artificiale, ovvero con intervento umano, ed il fuoco superiore, spirituale; Elia ricorda il profeta biblico che accese il fuoco con la preghiera, ma nella parola c’è anche una omofonia con Helios, il dio del sole. Fulcanelli espone nel suo libro “la via secca”, cioè il procedimento della Grande Opera che utilizza il Fuoco (inteso sia come alta temperatura che forza sottile, luminosa).
Le sole persone che, fisicamente, abbiamo visto finora legate al libro sono solo due: Champagne, illustratore, e Canseliet, prefatore. Uno di loro era Fulcanelli?
Canseliet può essere subito eliminato: a parte che lui stesso dichiarò più volte di non essere Fulcanelli, non è credibile che un giovane di 26 anni avesse potuto scrivere un testo così denso, così complesso, così maturo, anzi così conclusivo come Il Mistero delle Cattedrali.
Il 22 novembre 1930, lo stesso Jean Schemit pubblicava un’altra opera firmata da Fulcanelli: “Les Demeurs philosophales et le Symbolisme hermétique dans ses rapports avec l’arte sacré et l’esotérisme du Grand Oeuvre” (Le dimore filosofali e il simbolismo ermetico nei suoi rapporti con l’arte sacra e l’esoterismo della Grande Opera).
Questo secondo libro aveva le caratteristiche essenziali del primo: Canseliet ne aveva scritto la prefazione (o almeno l’aveva firmata…) e aveva curato i rapporti con l’editore, Fulcanelli era l’autore, Champagne aveva disegnato le illustrazioni.
Non è questa la sede opportuna per esaminare le tante possibili identità di Fulcanelli che sono state proposte, più o meno verosimilmente, nel corso di questi ottant’anni. Limitiamoci a trattare una sola pista: Champagne.

Jean Julien Champagne, artista sottile
Un’osservazione al volo: per la Biblioteca Nazionale di Francia non esiste alcun mistero: nel suo catalogo generale, i due libri di Fulcanelli sono attribuiti sicuramente a Champagne. Seconda osservazione rapida: le copie dei due libri di Fulcanelli, in quella Biblioteca, sono irreperibili; il catalogo dichiara in merito: assenza constatata a seguito di verifica. Ovvero, qualcuno ha rubato questi libri, che anche nel mercato antiquario hanno un grande valore.
Torniamo a Jean Julien Champagne. Costui era un pittore e disegnatore, ma fu anche un abile tecnico, inventore e costruttore, nel 1914, di un tipo innovativo di elica.
Ebbe contatti con alcuni dei più celebri esoteristi che vivevano e lavoravano nella Parigi dei primi decenni del Novecento.
Per reazione al rigoroso scientismo che aveva dominato la cultura europea di fine Ottocento, si diffuse uno spiritualismo che ebbe anche espressioni occulte, magiche, esoteriche e operative.
Si esaltò (talvolta perfino con intransigenza) la dimensione umbratile della natura; si ascoltò come sola autentica la voce dell’intuizione; si cercò di scoprire la vita occulta del cosmo, i suoi ritmi, le sue analogie che disegnavano una trama fittissima di corrispondenze e assonanze, per cui la legge fondamentale dell’esistente era condensata in una formula: “Tutto è in Tutto”.
L’alchimia venne considerata non come la preistoria della chimica – come si voleva nelle università di fine Ottocento -, ma come la vera filosofia della natura, cioè l’indagine più profonda, la sola in grado di rendere conoscibili all’uomo le facoltà e le qualità che rendono la Natura ciò che essa, realmente, è.
A Parigi, cuore culturale di Francia, si formarono gruppi esigui ma molto attivi di studiosi che cercavano di riportare alla luce la conoscenza ermetica.
Champagne fu discepolo di Pierre Dujols (1862-1926), che nella vita di tutti i giorni era libraio ed editore, ma era – più profondamente, più discretamente – un alchimista.
Nella sua Librairie du Merveilleux, in rue de Rennes a Parigi, si incontravano studiosi attivi nella Grande Opera, come Henri Coton-Alvart (1894-1988) e René Schwaller de Lubicz (1887- 1961), che diverrà più celebre come egittologo.
Nel 1914, Dujols pubblicò uno straordinario commento del Mutus Liber, un classico dell’alchimia del XVII secolo, che venne pubblicato dall’editore Emile Nourry, lo stesso a cui si era rivolto Fulcanelli, nel 1925, proponendogli, senza successo, il manoscritto che sarà poi accettato da Schemit e diventerà “Il mistero della cattedrali”.
Nel libro di Dujols vi sono diversi concetti e termini che ritroveremo nell’opera di Fulcanelli. Ed esiste un documento ancora più decisivo per collegare i due personaggi: una fotografia, purtroppo non datata, mostra Champagne nel suo laboratorio di alchimia, con questa dedica: “A P. Dujols hommage d’un jeune disciple, J. Champagne” (A P. Dujols, omaggio di un giovane discepolo. J. Champagne).
Direi che l’immagine è del 1910/1912, anni a cui risalgono i primi disegni di argomento alchemico di Champagne. Nel 1910, questi ha poco più di trent’anni, e dunque si può definire “giovane discepolo” di un maestro che aveva quindici anni più di lui. Il laboratorio in cui Champagne si fa fotografare è completo di una gran quantità di strumenti: dal forno per la coppellazione agli alambicchi, da fiale e vasi a decine di recipienti pieni di sostanze. La cosa davvero interessante è che alcuni di questi oggetti sono stati disegnati nell’emblema che sarà pubblicato sul frontespizio dei “Misteri delle Cattedrali”.
Possiamo concludere sicuramente che Champagne fu un alchimista attivo, non solo un teorico ed un erudito della materia (a meno che non si voglia credere che abbia messo assieme questo imponente laboratorio solo per farsi fotografare!…) Champagne è Fulcanelli? Canseliet lo ha sempre negato; ma Canseliet non è affidabile come testimone. Ha scritto nell’ottobre 1925: “Fulcanelli non è più”; nel 1936 dichiarò: “Fucanelli vive ancora. (…) Si trova ora in Brasile, ora in Argentina, errando per il mondo alla maniera dei Rosa-Croce. Adesso è nel sud della Francia”.
Ma attenzione: Canseliet può anche non essere interpretato alla lettera; quando egli parla di Fulcanelli può indicarne non solo e non sempre la sua dimensione anagrafica, ma piuttosto la sua essenza spirituale: se, come lascia credere, Fucanelli ha realizzato la Grande Opera, egli ha trasmutato se stesso non meno della materia; sarebbe insomma immortale nel senso che la sua esistenza non si dispiegherebbe più nel normale corso fisiologico, ma avrebbe realizzato un salto ontologico, immettendosi in una diversa dimensione dell’essere.
Canseliet, dunque, non può servirci come guida nella ricostruzione biografica.
Esaminiamo altri indizi.
Champagne dipinse un autoritratto in cui si definisce Fulcanelli. E con questo nome firmò due dediche di altrettante copie del suoi libro “I misteri delle cattedrali”: una venne regalata a Jules Boucher (1902-1955), chimico, studioso di scienze ermetiche, massone, fondatore dell’Ordine Martinista Rettificato; l’altra al suo amico René Schwaller de Lubicz.
E Schwaller, da parte sua, chiamava Champagne col nome Fulcanelli, quando era suo ospite.

Una domanda non necessaria,  una risposta superflua
Che pensare? Forse Champagne usurpava una qualifica, un nome, un sapere che non aveva? Forse attribuiva a sé solo l’opera di un gruppo di cui faceva parte? Forse aveva preso il nome di Fulcanelli sapendo che quello vero non avrebbe potuto reclamare?
O, forse, Champagne aveva realmente scritto i due libri che aveva firmato con lo pseudonimo di Fulcanelli?
Un alchimista, un iniziato, ci direbbe che le nostre domande sono in fondo inutili, poiché nella Grande Opera l’individuo non è che una forma transitoria. Ciò che conta davvero è il messaggio, qualunque sia la bocca che lo sussurra ai fratelli nella Vera Conoscenza.