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“EMPATIA: PICCOLO ESERCIZIO PRATICO PER COLTIVARLA (verso gli altri e verso se stessi)” di Gianluca Magi

“EMPATIA: PICCOLO ESERCIZIO PRATICO PER COLTIVARLA (verso gli altri e verso se stessi)” di Gianluca Magi

Uno dei flagelli dello psichismo umano è la tendenza a non volersi immedesimare nei panni degli altri.
Ne conseguono incomprensioni, sofferenze, accuse, torti.
In una parola: disagio.
Quando esprimo un giudizio su qualcuno, conosco realmente la situazione in cui egli si trova?
Prima di giudicare, criticare o puntare il dito, potrei fare questo piccolo esercizio:
chiudo gli occhi per qualche istante, respiro ed espiro profondamente e, con l’immaginazione, cerco di calarmi nei suoi panni, nella sua situazione.
Se fossi nei suoi panni mi comporterei come questa persona?
Mi comporterei diversamente?
Direi così?
Direi un’altra cosa?…
Se l’esercizio di “immedesimarmi nei panni dell’altro” è rivolto verso una persona che mi è antipatica, uggiosa o insopportabile, l’esercizio vale il doppio (a volte, il triplo).

Svolgendo l’esercizio quotidianamente acquisirò grandi forze, tra le quali: pazienza, tranquillità, indulgenza, presenza mentale, tenerezza, capacità di osservazione e comunicazione, generosità.
Non sarò l’unico beneficiario di questi doni.
Ma anche le altre persone ne beneficeranno.
Posso starne certo.

Ma che fare se proprio non ce la faccio a svolgere questo esercizio?
Se proprio non riesco a cogliere la realtà dell’altro?
Se l’impulso del giudizio si fa irresistibile?
Me lo chiedo, poiché è bene non essere fortemente critico e biasimevole neppure verso me stesso per non essere subito riuscito a trattenermi dall’impulso della critica.
Sarà in mio potere allora svolgere quest’altro esercizio:
giudicare le azioni che la persona ha compiuto e non la persona per le sue azioni.
Dirò: «Hai commesso una sciocchezza» e non «Sei uno sciocco».
«Hai detto una bugia» e non «Sei un bugiardo».
«Sono stato vulnerabile alla tua azione, alle tue parole» e non «Mi hai ferito».
«Forse non mi sono spiegato bene» e non «Allora non capisci!».
«Credo di non aver compreso quello che mi hai detto» e non «Mi hai spiegato male»…

Se critico una persona per le sue azioni, non solo la limito separandola dal Tutto, ma la marchio a fuoco con il sigillo della maledizione.
E così facendo la inviterò, inconsapevolmente, a continuare a fare altrettanto:
se t’imprimo il marchio dello sciocco, non ti offro alternative e ti convinco, a forza di ripeterlo, che sei uno sciocco; quindi, paradossalmente, ti legittimo a essere uno sciocco.
Se t’imprimo il marchio del bugiardo, ti legittimo a essere un bugiardo.
Ma se giudico solo l’azione che hai compiuto, ti lascio la strada aperta al perfezionamento e alla libertà, perché sai che sei aperto a una gamma infinita di azioni.
(Chi è genitore, please, ponderi adeguatamente tutto ciò nei riguardi del proprio figlio. Il figlio, e l’esistenza tutta, gliene saranno eternamente grati).
Corollario: Il lamento dell’infelice

Le persone infelici giudicano continuamente gli altri, criticano gli altri, si lamentano delle loro azioni, del loro modo di svolgerle.
Giungono a calunniarli con modi subdoli, a screditarli, a denigrarli, a infamarli.
Gli infelici si lamentano degli altri e così facendo li accusano.
«Alles Klagen ist Anklagen».
«Ogni lamentela è un’accusa».
O, più liberamente, se preferisci:
«Chi si lamenta accusa».
Così ricordava l’adagio di Goethe, ripreso da Nietzsche e rimbalzato così in Freud.
Perché gli infelici si lamentano degli altri e così facendo accusano?
Perché così facendo s’illudono di allentare le tensioni del proprio malessere personale o fallimento esistenziale.
Ma così facendo, in realtà, stanno sempre più caricando le proprie tensioni, come una molla interna…
Com’è difficile – proprio perché così facile – gettare uno sguardo dentro di sé…

di Gianluca Magi