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“BABELE-ARTE SACRA. ARCHITETTURA ANTICA” di Igor Sibaldi

“BABELE-ARTE SACRA. ARCHITETTURA ANTICA” di Igor Sibaldi

Forse la loro impresa si fermò perché volevano troppo?
Una torre con la sua cima (ReSh)
nei cieli (ShaMaYM).
Genesi 11,4

Nel modo oggi consueto di intendere il racconto di Babele, questa frase appare come una sfida troppo audace alla superiorità divina; ma dev’essere perché molti popoli lontani da quella stirpe di costruttori hanno imparato ad amare la propria fatale inferiorità, a cui le religioni li hanno addestrati. Nel testo ebraico l’idea di tale inferiorità è assente: la frase può infatti leggersi anche nel senso che l’inizio della torre sia nei cieli; la parola usata qui, ReSh, significa infatti «estremità», e non soltanto «apice». Né si intenda con «Cieli» la volta celeste: sarebbe grossolano; ShaMaYM, nella Genesi è la conoscenza (Shh) che si estende al di là di ogni orizzonte (MYM). Raggiungere gli ShaMaYM con quella «torre», oppure porne negli ShaMaYM le fondamenta, significa che quei costruttori cercavano quella conoscenza, volevano attingervi – per compiere scoperte. Tanti di noi lo desiderano ancor oggi, soprattutto da bambini.
Ma quest’idea non piace a un altro aspetto della divinità, che nella Genesi è chiamato YHWH.
E YHWH scese a vedere la città e la torre
che costruivano i figli dell’’aDaM.
E YHWH disse: «Ecco! Un popolo solo!
E hanno tutti una lingua sola!
E questa è la meta del loro fare!
E adesso non ci sarà ostacolo per loro
in tutto ciò che si proporranno di fare.
Su, scendiamo e confondiamo là la loro lingua
che non odano l’uno la lingua dell’altro».
E li disperse YHWH da là sulla faccia di tutta la Terra
e smisero di costruire la città.
Genesi 11,6-8.
Quanto al modo in cui YHWH confuse e disperse la stirpe dei costruttori, probabilmente un testimone oculare avrebbe potuto raccontarlo così:

YHWH era il Dio dei limiti: si esprimevano in lui tutte le forze con le quali il presente e il passato ostacolano il futuro. E tanto irresistibili sono quelle forze, che il Dio non ebbe neppure bisogno di colpire la nostra torre e la città, per distruggerle. Scese soltanto: e in quel suo scendere, per noi tutto era già perduto.
Noi infatti non avevamo limiti, e il Dio l’aveva visto; aveva compreso che non avremmo più avuto nemmeno un Dio dei limiti: saremmo stati interamente futuri, saremmo vissuti soltanto nel Divenire. E allora scese verso di noi, e in noi.
YHWH è il Dio dell’Essere, è «colui che è già» e «tutto ciò che c’è già»: e vincola ogni individuo soltanto a ciò che quell’individuo è già, e ogni cosa soltanto a ciò che quella cosa è già. Questo fece anche a noi, e fu così che ci bloccò. Ognuno pensò: «Ecco, questo sono, e questo ho fatto e capito finora», e si lasciò impressionare talmente da questo pensiero, che non fu più capace di fare e capire qualcosa di più.
Così cessammo di costruire. E incominciammo a disperderci per tutta la Terra, e a vivere in mezzo agli altri.

Noi ci siamo dispersi per tutta la faccia della Terra, ma i miti di tutti i popoli narrano di individui che partono. Le storie sono cammini, le scienze sono viaggi. Perciò parlano di noi, i popoli da noi diversi.

E d’altra parte, anche costruire una torre, e una città, fu troppo poco. Dovevamo costruirne di più.
Avevamo un’unica lingua; pensavamo: «Ci sarà quella soltanto, per tutti!» Invece YHWH doveva aiutarci a imparare le lingue della terra: quelle degli uomini e tutte le altre – la lingua del vento e quella della luce, e del buio, e della pietra, e della pioggia, e del legno, in un mondo in cui ogni cosa attende spasmodicamente che la si capisca. Questo era, è il viaggio.
Noi fummo destinati a questo, quando YHWH ci spinse via, senza dirci dove. A essere sempre scopritori, e mai esperti, tra le altre genti che ci guardano passare.
E sia. Chi viaggia cerca; e chi cerca, deve cercare innanzitutto se stesso. È nostra fortuna di senza-patria dover cercare noi stessi in ogni luogo, anche molto lontano. Ognuno di noi trova, via via. Si meraviglia, e poi continua a cercare. Così ci si può meravigliare accorgendosi che, da allora, noi, costruttori della torre, viviamo in ogni bambino…

di Igor Sibaldi